lunedì 9 marzo 2009

Questa è la mia terra ed io la difendo, e tu?


Il grande pubblico aveva conosciuto Giuseppe Gatì come “il contestatore di Sgarbi”. Quando, con il suo eskimo e il suo berretto, il 28 dicembre del 2008 alla biblioteca Franco La Rocca di Agrigento aveva, assieme ai suoi amici, contestato pubblicamente Vittorio Sgarbi, sindaco di Salemi, e i suoi reati. “Viva Caselli, viva il pool antimafia” urlava mentre alcuni, tra peones, galoppini e vigili urbani, lo strattonavano malamente e lo minacciavano. Urlava i nomi dei suoi eroi contro la mafia, in faccia a chi invece chiamava Caselli non eroe, ma “assassino”. Giuseppe sapeva infatti che il primo cittadino di Salemi era stato condannato in primo e secondo grado (poi era sopravvenuta la prescrizione) per diffamazione del giudice Caselli e al pool antimafia di Palermo. Ma la polizia municipale, la forza pubblica, anziché difendere quel giovane coraggioso, pieno di dignità, lo bloccò come si blocca un pericoloso mafioso, nel peggiore dei casi. Lo Stato che difende i condannati in via definitiva e maltratta chi urla per la Giustizia. Lui, a mente fredda, raccontò i retroscena sul suo sito, www.lamiaterradifendo.it: “Sono stato subito preso e spintonato da un vigile, mentre qualcuno tra la folla mi rifilava calci e insulti. I miei amici vanno via perchè impauriti, mentre io vengo trattenuto dai vigili. Si avvicina un uomo in borghese, che dice di appartenere alle forze dell’ordine e cerca di perquisirmi perchè vuole la videocamera (che ha portato via la mia amica). Io dico che non può farlo e lui mi minaccia e mi mette le mani addosso. Arriva un altro personaggio, e minaccia di farmela pagare, ma i vigili lo tengono lontano. Dopo vengo preso e portato in una sala appartata della biblioteca, dove la polizia prende i miei documenti e il telefonino. Chiedo di vedere un avvocato (ce n’era addirittura uno in sala che voleva difendermi), per conoscere i miei diritti, ma mi rispondono di no. Mi identificano più volte e mi perquisiscono. Poi mi intimano di chiamare i miei amici, per farsi consegnare la videocamera, ma io mi rifiuto. Arriva di nuovo il presunto appartenente alle forze dell’ordine in borghese e mi dice sottovoce che lui dirà di esser stato aggredito e minacciato da me. Non mi fanno parlare, non mi posso difendere. Dopo oltre un’ora e mezza mi dicono che non ci sono elementi per essere trattenuto ulteriormente, mi fanno fermare il verbale di perquisizione e mi congedano con una frase che non posso dimenticare: “Devi capire che ti sei messo contro Sgarbi, che è stato onorevole e ministro…”. Nei giorni a seguire quel video fece il giro delle tv, e su internet lo guardarono oltre 100 mila persone. Sonia Alfano, figlia di Beppe, il giornalista ucciso a Barcellona Pozzo di Gotto, assieme a Beppe Grillo raccontarono di Giuseppe con comunicati e denunce contro il vergognoso comportamento delle forze dell’ordine. Con il suo urlo antimafia Giuseppe diventa in poco tempo un simbolo, uno squillo di tromba nel grigiore etico e morale agrigentino. Beh Giuseppe non contesterà mai più Sgarbi né nessun altro diversamente onesto. Giuseppe è morto il 31 gennaio mentre lavorava per l’azienda di suo padre: era andato a prendere il latte da un pastore ed è stato folgorato mentre apriva il rubinetto della vasca refrigerante del latte. Era di Campobello di Licata Giuseppe, e lavorava nel caseificio di suo padre, con le sue “signorine”, le sue capre girgentane, che portava al pascolo.
Di ogni grande uomo si ricordano le massime, gli aforismi. Di Giuseppe voglio ricordare una frase bellissima, che mette i brividi.
“E’ arrivato il nostro momento, il momento dei siciliani onesti, che vogliono lottare per un cambiamento vero, contro chi ha ridotto e continua a ridurre la nostra terra in un deserto, abbiamo l’obbligo morale di ribellarci. Questa è la mia terra ed io la difendo, e tu?”.

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